
Kiviak. Quando la fermentazione diventa pericolosa
Oggi vi parlerò del Kiviak. Da grandi appassionati di cucina quali siete, avrete sentito sicuramente parlare di fermentazione. Ne abbiamo accennato le fondamenta in questo articolo (LINK) o magari ve ne ha parlato il collega in cucina.
Tipico delle terre nordiche e della penisola scandinava, nella quale questo metodo è da sempre utilizzato come metodo di conservazione del cibo e oggi se ne è riscoperto l’uso in cucina.
Ormai ha raggiunto grandi traguardi, portando la cucina scandinava ai livelli più alti delle classifiche culinarie grazie anche al portavoce della nuova cucina nordica Renè Redzepi (LINK).
Cos’è il Kiviak e come si prepara
Chi di voi ha avuto modo di assaggiare queste prelibatezze fermentate a regola d’arte, avranno notato il sapore forte e frizzantino che le contraddistingue. Fidatevi però, quei sapori non sono sicuramente niente in confronto al Kiviak, una specialità tipica degli Inuit groenlandesi, preparata per resistere ai loro lunghi e rigidi inverni.
Perché vi ho parlato delle fermentazioni prima? Ovviamente perché anche alla base della pietanza in questione c’è questa tecnica ma passiamo alla spiegazione: prima cosa da fare è scuoiare e pulire la pelle di una foca intera formando una specie di sacco, dentro il quale si inseriscono in numero variabile delle gazze marine integre, fino ad un massimo di 500 circa, in relazione alla grandezza della pelle di foca.
Una volta fatto ciò si sigilla la sacca (eliminando la maggior parte dell’aria presente) con grasso di foca e si pone sotto un cumulo di rocce affinché non vi si insinui aria e anzi, permetta la fuoriuscita dei gas provocata dalla fermentazione delle gazze marine all’interno della stessa.
Dopo circa 3 mesi la fermentazione è completa. Si riapre la pelle e, accompagnati dall’odore di cadavere misto al sapore simile alla gorgonzola (così dice chi lo ha provato), specialmente in occasione di eventi speciali come matrimoni o festività si gustano le gazze avendo solo l’accortezza di spellarle.
Gli effetti collaterali
Diversi nel corso degli anni sono stati i casi di intossicazione alimentare o addirittura morte, derivanti dal sistema sicuramente poco igienico di produzione di questa prelibatezza tanto buona (per gli Inuit) quanto potenzialmente pericolosa, capace di provocare forti allucinazioni, situazioni salutari gravi o addirittura la morte.
E voi, sareste in grado di assaggiare questa tradizionale portata?
Mi riferisco ovviamente a chi si reputa di “stomaco forte” per aver mangiato in qualche suo viaggio grilli, cavallette o altri insetti vari. Riuscireste a provare l’ebrezza di un piatto dal sapore decisamente più “strong” come questo?